TRA RIVOLUZIONE TECNOLOGICA E PANDEMIA: indagine sul contrasto al fenomeno dello skills gap
Posted On October 20, 2021
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MILANO - Lo studio (disponibile in versione integrale sul sito https://www.talentsventure.com/osservatorio/) nasce dal contesto odierno in cui le imprese devono confrontarsi con i cambiamenti imposti dalla attuale pandemia e dalle continue e veloci innovazioni tecnologiche della Quarta Rivoluzione Industriale. Per adattarsi a questo contesto, le aziende cercano quelle figure professionali che possano offrire le competenze necessarie in grado di rispondere alle esigenze del mercato attuale.
Nonostante questa necessità, le aziende faticano a reperire i profili lavorativi più adatti alle loro esigenze che risulta possibile solo in un caso su tre circa (36%). Questo divario esistente tra la domanda di profili specializzati e le reali competenze delle persone laureate prende il nome di skills mismatch e coinvolge maggiormente alcuni settori più di altri: sale al 59% per quanto riguarda le persone uscenti dalla laurea in Ingegneria elettronica e al 51% per coloro che posseggono il titolo in Ingegneria industriale (51%).
I profili più difficoltosi da reperire sono invece quelli in grado di occuparsi della gestione dei dati: a partire dai ruoli di data protection alla data governace fino anche a quelli di cybersecurity per concludere con profili esperti di Intelligenza Artificiale e di programmazione informatica. Le competenze più ricercate dalle aziende riguardano gli ambiti cosiddetti STEM (Science, Technology, Engineering e Mathematics). Se consideriamo il periodo che intercorre dal 2010 al 2019 il numero delle persone laureate in questi ambiti è cresciuto solamente di un punto percentuale. Nonostante questo, le donne sono ancora in netta minoranza con solo il 39% sul totale delle persone laureate in corsi STEM (questo fenomeno prende il nome di gender gap).
Un’ulteriore importante risultanza dello studio è il Graduate Competitive Index (GCI), sviluppato da Talents Venture con lo scopo di evidenziare in maniera intuitiva il numero di posti di lavoro a disposizione per ogni persona laureata. Inoltre, questo strumento sottolinea quante persone in possesso di una certa laurea competono per lo stesso posto di lavoro. Ad esempio, troviamo 2,01 posizioni aperte per una persona laureata nell’indirizzo di Insegnamento e Formazione e di 1,73 posizioni disponibili per coloro in possesso di laurea in Ingegneria elettronica e dell’informazione. Invece, il gruppo Psicologico vede maggiori difficoltà: 7,87 persone laureate competono per un solo posto di lavoro. A seguire si trovano coloro che hanno conseguito una laurea nell’indirizzo Politico-Sociale (- 5,70).
L’altra importante azione per contrastare il fenomeno dello skills gap è quella di investire in modo più efficace in R&D (Research & Development). Allo stato attuale solamente il 20% delle aziende collabora con le università utilizzando le strutture laboratoriali offerte dall’università stessa, mentre un numero ancora inferiore (13%) collabora invece con i ricercatori delle università in progetti di ricerca con applicazioni aziendali.
In conclusione, quindi, per trovare risposta alle difficoltà che le aziende hanno nel reperire figure professionali di cui hanno bisogno, sono state proposte alcune soluzioni. Le azioni elaborate all’interno dello studio prevedono, da una parte, una più stretta collaborazione tra le aziende stesse e le università e, dall’altra, un migliore e più efficace processo di orientamento.
Nel concreto si tratterebbe di aggiungere percorsi formativi (bootcamps) con lo scopo di acquisire competenze immediatamente spendibili nel mondo del lavoro e un’attività di orientamento che coinvolga simultaneamente tra attori principali: università, studenti e aziende.
Nonostante questa necessità, le aziende faticano a reperire i profili lavorativi più adatti alle loro esigenze che risulta possibile solo in un caso su tre circa (36%). Questo divario esistente tra la domanda di profili specializzati e le reali competenze delle persone laureate prende il nome di skills mismatch e coinvolge maggiormente alcuni settori più di altri: sale al 59% per quanto riguarda le persone uscenti dalla laurea in Ingegneria elettronica e al 51% per coloro che posseggono il titolo in Ingegneria industriale (51%).
I profili più difficoltosi da reperire sono invece quelli in grado di occuparsi della gestione dei dati: a partire dai ruoli di data protection alla data governace fino anche a quelli di cybersecurity per concludere con profili esperti di Intelligenza Artificiale e di programmazione informatica. Le competenze più ricercate dalle aziende riguardano gli ambiti cosiddetti STEM (Science, Technology, Engineering e Mathematics). Se consideriamo il periodo che intercorre dal 2010 al 2019 il numero delle persone laureate in questi ambiti è cresciuto solamente di un punto percentuale. Nonostante questo, le donne sono ancora in netta minoranza con solo il 39% sul totale delle persone laureate in corsi STEM (questo fenomeno prende il nome di gender gap).
Un’ulteriore importante risultanza dello studio è il Graduate Competitive Index (GCI), sviluppato da Talents Venture con lo scopo di evidenziare in maniera intuitiva il numero di posti di lavoro a disposizione per ogni persona laureata. Inoltre, questo strumento sottolinea quante persone in possesso di una certa laurea competono per lo stesso posto di lavoro. Ad esempio, troviamo 2,01 posizioni aperte per una persona laureata nell’indirizzo di Insegnamento e Formazione e di 1,73 posizioni disponibili per coloro in possesso di laurea in Ingegneria elettronica e dell’informazione. Invece, il gruppo Psicologico vede maggiori difficoltà: 7,87 persone laureate competono per un solo posto di lavoro. A seguire si trovano coloro che hanno conseguito una laurea nell’indirizzo Politico-Sociale (- 5,70).
L’altra importante azione per contrastare il fenomeno dello skills gap è quella di investire in modo più efficace in R&D (Research & Development). Allo stato attuale solamente il 20% delle aziende collabora con le università utilizzando le strutture laboratoriali offerte dall’università stessa, mentre un numero ancora inferiore (13%) collabora invece con i ricercatori delle università in progetti di ricerca con applicazioni aziendali.
In conclusione, quindi, per trovare risposta alle difficoltà che le aziende hanno nel reperire figure professionali di cui hanno bisogno, sono state proposte alcune soluzioni. Le azioni elaborate all’interno dello studio prevedono, da una parte, una più stretta collaborazione tra le aziende stesse e le università e, dall’altra, un migliore e più efficace processo di orientamento.
Nel concreto si tratterebbe di aggiungere percorsi formativi (bootcamps) con lo scopo di acquisire competenze immediatamente spendibili nel mondo del lavoro e un’attività di orientamento che coinvolga simultaneamente tra attori principali: università, studenti e aziende.